Salvatore
Salemi è professore di Italiano e Storia
al Liceo delle Scinze Sociali di Noto
e si è da sempre occupato di autori siciliani,
nonché di poesia dialettale
di questo angolo siracusano di Sicilia.
Regaliamo al vostro piacere di leggere
la sua prefazione all'ultimo libro di Giovanni
Stella
appena pubblicato dalla nostra Libreria Editrice
col titolo "Il rigattiere e l'avventore"
nella collana "Mneme" (pp.192, € 13,00)
Il
rigattiere e l'avventore: trovo efficace questo titolo che, frutto della
feconda fantasia di Stella,
rivela
la caratteristica fondamentale del presente libro. Infatti, a somiglianza
di un rigattiere che acquista e accumula roba usata per poi rivenderla,
l'autore ha voluto riunire nel volume, per offrirli al lettore - avventore,
alcuni suoi scritti sicuramente non inediti, essendo già stati pubblicati
in varie riviste. D'altra parte, come di vario genere si presentano i vecchi
oggetti che il rigattiere vende nella sua bottega, così diversa è
la natura degli scritti: sono ritratti di uomini noti, conosciuti dall'autore
nelle più disparate circostanze; descrizioni di luoghi e di città,
svolte con acuta sensibilità estetica; testi polemìcì
su questioni varie, principalmente sul tema della giustizia; e ancora resoconti
di conferenze e di convegni di carattere professionale ed elogi di amici.
Opera per così dire "di seconda mano" - a volere usare
un'espressione particolarmente icastica, ma priva di qualsiasi connotazione
negativa - Il rigattiere e l'avventore si presenta, dunque, come una sorta
di miscellanea di prose, tra le quali occupano un posto di rilievo, e non
solo per una ragione numerica, gli scritti che rievocano incontri con personaggi
di indubbia fama, stimati e ammirati dall'autore: da Nunzio Bruno, artista
e custode delle tradizioni popolari siciliane, al professor Coppi, avvocato
principe del foro; da Lucio Mariani, prestigioso dottore commercialista
di Roma e fine poeta, a Gian Paolo Manganaro, di origini avolesi, docente
di letteratura italiana all'università di Lille, esperto traduttore
in lingua francese, nonché profondo conoscitore e critico di Gadda,
Calvino e Consolo. Ma il libro lascia spazio anche al ricordo, spesso commosso
e appassionato, di persone comuni: tale è Liena, la ragazzina della
Bielorussia conosciuta da Stella durante un soggiorno ad Avola, ospite di
una famiglia della città; tale è ancora "mamma "
Concettina, suocera dell'autore, rievocata in una pagina toccante per le
sue doti di saggezza e di esemplare bontà. Per tali caratteristiche
il libro rivela la volontà di Stella scrittore (ché egli è
anche poeta) di proseguire un discorso già avviato con se stesso
e con i lettori e si pone in un rapporto di continuità con le opere
in prosa immediatamente precedenti composte dallo stesso. Mi riferisco ad
Amici cari, opera costituita da una serie di scritti, in cui la rievocazione
di varie e significative vicende che hanno contrassegnato le diverse fasi
della vita dell'autore si mescola alla descrizione, concisa e pregnante,
della personalità di uomini, gli "amici cari", dei quali
egli serba un indelebile ricordo. Mi riferisco inoltre al volume, pubblicato
ancor prima, dal titolo Le Sirene e l'Isola, che è composto da un
insieme di testi che descrivono alcuni siciliani più o meno noti,
dall'editore di Stella, l'avolese Ciccio Urso, all'altro suo concittadino
Giuseppe Schirinà, poeta e scrittore; o che rievocano momenti della
vita dell'autore resi significativi - e perciò rimasti impressi nella
sua memoria - dalla presenza o dall'incontro con altri siciliani ancor più
illustri, da Corrado Sofia a Vincenzo Consolo, a Gesualdo Bufalino. Questo
libro, pertanto, sembra confermare la predilezione dì Stella prosatore
per il "frammento". vale a dire per un testo - di carattere tra
il narrativo, il descrittivo e il riflessivo, con sfumature liriche - di
breve respiro e in sé conchiuso. E' da vedere in ciò - mi
chiedo - un limite o un difetto della sua scrittura? E invero penso che
Giovanni forse non scriverà mai un romanzo - opera ben più
complessa di questi brevi, benché piacevoli, scritti - in cui sia
proiettata la sua visione dell'esistenza e del mondo. Ma sono altresì
convinto che egli non senta la necessità di scriverlo, quel romanzo,
perché la sua concezione esistenziale l'ha già espressa nelle
liriche: ed è una concezione pessimistica, negativa. Non diversamente
da Montale, poeta a lui particolarmente caro, Stella avverte un profondo
"male di vivere" che, come egli stesso dice in uno degli scritti
di questo volume, "nasce con l'uomo e lo accompagna per tutta la durata
del veloce transito in questo pianeta".
Qual è allora, per lui, il rimedio a questo male? Di certo non "divina
indifferenza ". ma, a voler usare un altro termine di montafiana memoria,
sono certe "occasioni che la vita può riservare: la conoscenza
di una persona di profonda cultura e di grande umanità; il rapporto
di autentica amicizia che ne può conseguire; la possibilità
di evadere dal duro, continuo lavoro in cui egli sprofonda ogni giorno,
per godere con occhio ammirato e con animo da cosmopolita le bellezze di
città dalla storia millenaria: Agrigento, Roma, Parigi. Anche l'amore,
quello che attrae l'anima in un vortice di passione, è per Stella
esperienza intensa e significativa, che si offre quale rimedio, sia pure
momentaneo, a quel "male" - e ne sa qualcosa chi ha avuto la possibilità
di leggere le sue raccolte di liriche: Miraggi, Datteri verdi, Gusci di
mandorle, Lapilli - ma, a dire il vero, in questo libro è assente.
Forse sarebbe meglio dire che sembra assente, perché rivive in effetti
in molte pagine, privo della componente erotica, sotto varia veste: come
disposizione all'amicizia, secondo quanto poc'anzi notavo; come senso della
giustizia; come solidarietà e persino compassione verso i simili
che soffrono. Questi nobili sentimenti improntano tanti scritti e, ancor
prima, le esperienze di vita che in essi trovano testimonianza e che costituiscono
delle "occasioni" memorabili per la carica affettiva ed emotiva
che le contraddistingue. Tutte queste "occasioni", dunque, per
Stella sembrano gettare all'improvviso un lampo di luce nel buio dell'esistenza;
riempiono parzialmente il vuoto della vita e ne fanno in un certo qual modo
ritrovare il senso. Allora conviene viverle intensamente e poi serbarle
nel contenitore della memoria o, meglio, sottrarle alla labilità
della memoria attraverso la scrittura, per riviverle in seguito, quando
lo sconforto esistenziale potrebbe assalirci, ritrovandone la dolcezza del
tempo in cui si sono manifestate. Sono soprattutto certi grandi uomini -
se l'autore ha la possibilità di avvicinarli, di conoscerne l'animo,
di parlare con loro quasi da amico - a provocare in lui forti emozioni e
a creare quelle "occasioni" significative che la scrittura deve
necessariamente registrare. Il lettore smaliziato scoprirà sicuramente
in Stella un certo malcelato orgoglio per aver goduto del privilegio di
conoscere quegli uomini e di aver instaurato con loro rapporti amichevoli;
tuttavia devo sinceramente ammettere che non risiede in ciò, in tale
sorta di vanto, la ragione di questi scritti, nei quali l'autore invece
persegue essenzialmente l'obiettivo di fare emergere da ogni incontro -
da ogni "occasione" memorabile - valori di vera cultura e di autentica
umanità. Quegli uomini illustri che egli ha conosciuto vengono proposti,
infatti, all'attenzione del lettore per il loro rigore morale, per la loro
laboriosità, per il grande e serio impegno di cui dànno quotidianamente
prova nella loro professione o attività artistica e. nel privato,
per una semplicità e spontaneità di maniere che non immagineremmo.
Il professor Coppi desta ammirazione perché "lavora da quindici
a diciotto ore al giorno, tutto l'anno". E che dire della sua vita
privata? Egli "è di una semplicità e di una umiltà
indescrivibili". Ad un bunker o ad una cella di carcere può
essere poi paragonato lo studio, collocato a Parigi in ambiente sotterraneo,
di Gian Paolo Manganaro: un luogo ideale per poter lavorare instancabilmente
per molte ore al giorno in condizioni di assoluto isolamento e di solitudine.
Ed è, il suo, un altro esempio di spirito di abnegazione e di rigorosa
e totale dedizione al lavoro.
Ma è la pietà, credo, la più alta lezione di vera umanità
che scaturisce da questi scritti: pietà verso chi soffre, chi è
povero, chi vive ai margini della società. Sono sicuro che al lettore
attento non sfuggirà come più d'una volta ritorni tra queste
pagine la figura del barbone, che l'autore tratta con simpatia. Sarà
perché il barbone esprime per Stella - commercialista irretito nella
"forma" della sua professione e assillato da mille impegni quotidiani
- l'anelito ad un'esistenza "vera", libera da schemi e da regole,
e il bisogno di un rapporto spontaneo, cordiale, non ipocrita, con gli altri;
ma è certo che l'autore si accosta alla gente che fa dei marciapiedi
la propria casa spinto da una profonda carica di umanità: "un
senso di umana compassione misto a tenerezza" egli prova da sempre
per i barboni, come afferma in un passo significativo dì Facce sporche.
Perciò non disdegna di avvicinarli e di instaurare con loro un rapporto
di sincera amicizia. Stella, tutte le volte che deve recarsi a Parigi, vuole
prenotare lo stesso albergo, per rinnovare il piacere di conversare con
due vecchi barboni che stazionano nei paraggi, i quali apprezzano, assai
più del denaro ricevuto, il dialogo e il calore umano che possono
scambiare reciprocamente con lui.
E forse perché somiglia tanto a un barbone, riesce caro a Stella
- ma sono sicuro che sarà tale anche per i lettori - quel George
Whitman gestore della librerìa "Shakespeare and Company",
che si trova a Parigi nei pressi di Notre Dame; tanto che il suo ritratto
risulta certamente tra i più caratteristici e meglio riusciti del
libro. Del barbone, Whitman ha esteriormente il modo di vestire piuttosto
trasandato e la bocca quasi completamente sdentata; e che disordine regna
in quella libreria, dove i libri sono collocati anche per terra, sopra sedie
e sgabelli e persino fuori della porta d'ingresso! Ma quell'uomo, come tanti
barboni, ha "un cuore generoso e pulito", al punto da mettere
a disposizione di chiunque ne abbia necessità il suo appartamentino
da bohémien, situato proprio sopra la libreria, al primo piano dello
stesso edificio. Rimarranno certamente impresse nella nostra mente le parole
spontanee e sincere che rivolge a Stella, mentre questi è in procinto
di congedarsi da lui: "Se avete bisogno di qualunque cosa - un letto,
un posto, un amico... - sapete dove trovarmi".
Significativa la lezione di umanità che ci viene impartita attraverso
tali vicende; e il lettore - ne sono convinto - potrà scoprire che
una piccola o grande lezione di vita è sempre presente in ciascuno
degli scritti raccolti nel volume. In ciò consiste, a mio parere,
il maggior pregio dell'opera, la sua funzione sostanzialmente educativa
per cui merita di essere letta.
Avola, maggio 2002
Salvatore Salemi
Un
libro che ti lascia come prima,
non è un buon libro
di Cristina Tambacopoulos
"GUARDARE L INFINITO
"
(
Riflessioni sulla buona lettura)
Un libro che ti lascia come prima, non è un buon libro. O allora sarai
stato tu a non volerti o a non saperti abbandonare alle sue idee, alle sue
atmosfere
Non lhai accolto, non lhai capito e si è
allontanato da te. Non era forse "il tuo libro" o non eri tu "il
suo lettore", almeno non in quel momento della vostra storia. Sì,
perché anche i libri hanno una loro storia come noi lettori, e perché
essi ci scelgono molto più spesso di quanto noi scegliamo loro
ne sono sempre più convinta. Altrimenti, come spiegare il fatto che
un titolo non più attualmente richiestissimo, continui stranamente
ed ostinatamente ad invadere il mio campo visivo, sia da vari siti in rete
che dagli scaffali delle librerie o delle biblioteche o dalle bancarelle dellusato
in piazza?!?
Un buon libro è il bisturi dun chirurgo dellanima del mondo,
a te prestato o regalato, dopo che lui saggio - tha fatto conoscere
un altra porzione di vita, attraverso le sue parole. Ora ti dice: "Avanti,
adesso tocca a te! Decidi se vuoi far parte del mondo come lo vediamo ora
insieme, o come lo vedi tu da solo (dopo che ti ho prestato i miei occhi,
il mio sguardo/bisturi) o se vuoi essere uno di noi - chirurghi dellanima
di questo mondo
"
Un buon libro dunque ti crea delle perplessità, ti cambia, anche se
non sempre o non necessariamente o non esattamente ti sconvolge; sicuramente
però qualcosa muove in te - fosse pure un poco, ma lo fa. Dopo la lettura,
dopo "quella" lettura, non sei più lo stesso: hai scoperto
delle cose nuove "fuori" che thanno fatto rivedere alcune
cose "dentro" non è poco. E non è nemmeno detto
che per questo la sensazione sia per forza gradevole; anzi, spesso un buon
libro ti minaccia, ti spaesa, si rende persino antipatico, perché ti
cambia prospettiva, ti cambia rotta, ti dimostra che esistono punti di vista
altrettanto validi e forse più validi dei tuoi, ma ti invita comunque
a riaprirlo, a riprenderlo, per cercare ancora tra le sue pagine lo stesso
spaesamento, la stessa ri-nascita di nuovi dubbi sulle tue certezze, nuove
lacerazioni
e lo fa con una forza quasi malefica, diabolica, si direbbe
poiché ti senti in qualche modo un po raggirato, quasi privato
di una piccola, ma indiscussa libertà: quella di non aprirlo più.
Ma il libro tinsegue e tu lo riaprirai - già lo sai - e lo farai
ancora e ancora, creandoti nuove domande come risposte alle tue vecchie. Perciò
è inutile che tarrabbi. E quasi una "condanna":
tu correrai al tuo libro "come si corre da un innamorato"
così dice la Maraini sulla scrittura in genere, quando "prende"
lo scrittore, ma mi pare valga anche in questo caso. Leggere, non è
in qualche modo ri-scrivere? E non è forse vero che metterci in imbarazzo,
rattristarci, scandalizzarci, farci riflettere o arrabbiare sia un indiscusso
diritto del libro, quanto lo sia farci gioire, divertire, distrarre? Sono
due funzioni diverse dello stesso atto quello della lettura - ma possono
coesistere. Anzi, devono coesistere. Il libro che t ha scelto ti ama
e - come chi ti ama veramente - non mente, ti rivela la tua realtà
e quella degli altri; che talvolta non è quella che ti piace riconoscere
Bene. Ma perché si direbbe - tutte queste considerazioni, così
"a ciel sereno"? Diciamo che è capitato anche a me questa
estate! Fra tanti, come tanti, ho avuto anch io il privilegio, la fortuna
d essere stata scelta da un libro tanto amato, uno di quelli che tracciano
una linea di demarcazione tra il "prima e il dopo" la loro lettura.
C è da dire che io sono una "recidiva" delle cotte
estive per libri, d accordo: infatti, ogni estate "mi capita"
d incontrare un nuovo amore libresco, e il suo autore-"chirurgo"
di turno, mi dona il proprio "bisturi del mondo" perché possa
diventare un po più saggia, è vero! Ma è vero anche
questo: che c è qualcosa nell aria tiepida dei tardi pomeriggi
estivi, che predispone a voler conoscere meglio il mondo, frugando attraverso
le parole degli altri, nei segreti della sua anima, per scoprire anche quelli
della propria
E - come per tutti i veri "amori" (con o senza
virgolette) - c è quell impercettibile, talvolta sottilissima
distinzione che ti fa capire la singolarità, la quasi
fatalità
dellincontro, che nel grande trambusto della vita "scritta per
essere letta" (parliamo di letture, no?), sa farsi solo musica per lanima,
musica costante
e allora senti che si tratta proprio di esso: IL TUO
LIBRO. Lo senti e lo sai
non è così?
...Avrei tanta voglia di parlarne, di raccontare di più su questo MIO
LIBRO, ma per ora ho in me soltanto un groviglio di messaggi sparsi, di significati
sicuri, ma non ancora organici, e di tante, tantissime sensazioni ed emozioni
che si mescolano alle "conseguenze" che so avrà su di me
il loro inatteso incontro... Il tutto si fa sostanza incandescente e non la
si vuol toccare, ma crea soltanto la necessità di silenzio; solo silenzio
anche se piuttosto... eloquente, me ne rendo conto! Ho bisogno di un po' di
tempo perché il magma decanti, prenda forma e diventi parole e pensiero.
Sento, anzi so che non ci vorrà molto... Poi sicuramente, vorrò
condividere questa magnifica esperienza, per ampliarla, per amplificarla...
Per ora, non mi resta che
chiudere gli occhi; come appunto dice Franz,
sottolineando la sua diversità rispetto a Sabina ed il modo di lei
di gioire ed abbandonarsi al piacere: "Chiudendo gli occhi si può
guardare linfinito
"
Cristina
CONTINUA...

Il diritto internazionale? Un poco diritto, e un poco storto...
Chissà come andrà a finire!
Il nostro Leonardo Miucci (per visualizzare la sua
pagina all'interno del nostro sito
) ha fatto una delle sue migliori riflessioni sul diritto internazionale e
l'ha mandata all'ambasciatore Sergio Romano,che l'ha pubblicata in parte (per
ovvie esigenze di spazio) all'interno della rubrica "Alla lettera"
che gestisce sul settimanale "Panorama". Pare che la guerra sia
sempre il tormento di Bush, così come pare perduta ogni speranza di
democrazia per la nazione irachena. Il tema sarà ancora di estrema
attualità, perché il diritto internazione sembra essere oltre
che diritto anche un poco storto, e il punto di vista di Leonardo ci aiuta
sicuramente a vedere più chiaramente, al di là dei giusti
interrogativi che pone. Grazie Leo.
Buona lettura!
Francesco Urso
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A pag. 13 di Panorama N.33 del 13 agosto de13 agosto 200
2
L'illusione del diritto mondiale
Lettera a Sergio Romano di Leonardo
Miucci
Egr. dr. Sergio ROMANO,
sono di questi giorni le notizie secondo le quali lAmerica nei prossimi
mesi (forse addirittura entro lautunno) attaccherà lIraq
di Saddam Hussein.
Le notizie, il cui blank non è stato né confermato né
smentito dalle autorità americane, arrivando anzi a formulare esplicite
minacce nei confronti della talpa del Pentagono che ha agevolato
la fuoriuscita di tali informazioni, riferiscono di imminenti attacchi di
aerei americani a cui succederanno vere e proprie invasioni di terra. Il motivo
che avrebbe spinto Bush a sferrare lattacco risiederebbe nella necessità
di sovvertire il regime dispotico di Saddam, al fine di agevolare poi linsediamento
di un ordinamento filo-occidentale basato sui cardini della democrazia.
Il quesito che vorrei porLe, pur investendo problematiche di carattere politico
sulle quali sebbene vi sia materiale per poterne parlare preferirei glissare,
è di carattere squisitamente giuridico, propriamente di diritto internazionale.
Sappiamo benissimo che nellambito delle controversie internazionali,
le norme di diritto internazionale, sia di carattere consuetudinario sia pattizio,
vietano categoricamente il ricorso allimpiego della forza bellica (salvo
il caso e nei limiti della legittima difesa), preferendo ad essa forme di
risoluzioni pacifiche. Peraltro, come accennavo prima, oltre al diritto consuetudinario,
la Carta delle Nazioni Unite allart.51 impone tale divieto. Secondo
la dottrina prevalente nonché lo spirito stesso della norma in questione,
si ha motivo di ritenere che al divieto imposto non possa derogarsi, neanche
di fronte ad eventuali atti terroristici cui lo Stato assertore dellattacco
dovesse subire. Il ricorso allattacco armato da parte di uno Stato è
consentito esclusivamente per eventi in cui sia possibile prevedere una causa
di legittimazione: la difesa legittima, appunto. Comunque, anche in simili
casi, la decisione dellattacco scaturisce a seguito di una votazione
presa in seno al Consiglio di Sicurezza dellONU e, proprio per tale
natura, non è assolutamente un atto unilaterale.
Da quanto detto, paradossalmente, sembrerebbe che Saddam sia legittimato ad
impiegare la sua forza bellica per difendersi da un eventuale attacco americano,
proprio in virtù del principio della difesa legittima.
Fatta questa doverosa premessa, Le chiedo come sia possibile che lAmerica,
e con essa altri paesi europei, possa assumere decisioni unilaterali (o comunque
apparentemente multilaterali) senza incorrere in situazioni di illecito internazionale.
Mi chiedo, a questo punto, se il diritto internazionale, attesa la sua mancata
(o quantomeno limitata) connotazione sanzionatoria, sia effettivamente un
diritto inteso come complesso di norme che regola i rapporti tra gli Stati.
Ringrazio e molto cordialmente saluto.
Leonardo
Miucci
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La risposta di Sergio Romano
La lettera era troppo lunga per la nostra rubrica e ho
dovuto accorciarla. Spero di aver conservato il senso delle osservazioni di
Leonardo Miucci. Un americano gli risponderebbe, probabilmente, che ogni stato
ha il dovere di garantire la sicurezza dei propri cittadini e non può
attendere che il nemico si prepari in segreto ad assestargli un colpo fatale.
Se gli Stati Uniti colpiranno Saddam, aggiungerebbe, lo faranno per impedirgli
di ricorrere domani alle armi nucleari, biologiche e chimiche di cui sta cercando
di riempire i suoi arsenali. Miucci potrebbe replicare che l'America, in questa
come in altre faccende, è al tempo stesso pubblico ministero, giudice
e poliziotto. Formula l'accusa, fornisce prove che nessuno è in grado
di verificare, emette la sentenza, procede all'esecuzione. Ma l'americano,
dopo avere ascoltato pazientemente e cercato per quanto possibile di convincere
il suo interlocutore, dichiarerebbe finalmente che <<così è
se vi pare >>. L'America si sente minacciata, ma ha i mezzi per scongìurare
la minaccia e intende servirsene. Punto e basta. A questo dialogo immaginario
aggìungo due considerazioni.
La lettera di Miucci è fondata sulla speranza, molto diffusa negli
anni Novanta, che il diritto internazìonale e umanitario avrebbe esteso
la sua autorità e le sue competenze sino a diventare la suprema legge
della comunità mondiale. A me parve che questa speranza fosse illusoria
e che l'America non avrebbe mai accettato di sottoporre le proprie azioni
al giudizio altrui. Ne vidi una conferma, paradossalmente proprio quando Bill
Clinton, nell'ultimo giorno della sua presidenza, decise la ratifica dell'accordo
di Roma per la creazione di un tribunale penale internazionale. Lo fece soltanto
allora, e non prima, sapendo perfettamente che la sua decisione non sarebbe
stata condivisa e avallata né dal suo successore né dal Congresso.
Fu un atto dimostrativo e retorico, privo di qualsiasi rilevanza.
La seconda considerazione concerne la natura degli Stati Uniti. Hanno un concetto
assoluto della loro sovranità, sono talora imperiosi e arroganti. Ma
sono una grande democrazia e George Bush non potrà attaccare Saddam
se non sarà riuscito a convincere la pubblica opinione e a conquistarne
il consenso. Sull'utilità dell'intervento si è aperto quindi
in America un grande dibattito in cui si odono chiaramente le voci del dissenso.
Speriamo che qualcuno alla Casa Bianca le ascolti.
Sergio Romano
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Ciao
a Mantova ogni anno c'è il festival lettura , e giovedì sono
andata a vedere l'intervento di Gino Strada. Se ti capita, è davvero
interessante partecipare ad un suo intervento... ti lascia delle riflessioni
molto profonde e dolorose... soprattutte se raccontate da un uomo che le vive
in prima persona. E' toccante vederlo emozionato quando parla dei bambini
che salva, e che purtroppo non riesce a salvare - facendo trasparire
la sua impotenza di fronte alla morte di un essere che deve subire la situazione
in cui si trova.
...Ma che centrano i bambini con la guerra? E' la riflessione più devastante
...e non c'è risposta... ...non c'è risposta perché comunque
i bambini non centrano, ma chissà perché sono sempre loro che
ne pagano le conseguenze più atroci... sempre...
un bacio
Lorena
Franco E. Albi ci scrive da Portland,
dall'Oregon degli Stati Uniti.
MEGLIO
TARDI
di
F. E. Albi
A distanza dun anno dallolocausto delle Torri Gemelle di New
York e dellassalto al Pentagono,

rileggo
quanto scrissi per loccasione e, a parte la conclusione, trovo poco
da eccepire: Non so più quante volte, in questa sede, ho arguito
per la pace mondiale. Non ha più senso, se prima e ad ogni costo,
non si riesce a sterminare il terrorismo. Rilevo e confesso due errori
madornali, luno più grave dellaltro, senza scusanti,
se si eccettua il dolore e la rabbia impotente del momento. Mea culpa! Meglio
tardi che mai. Mentre la pace universale rimane laspirazione collettiva
primaria dellumanità sofferente, lo sterminio del terrorismo,
in quanto ideologia, non si può ottenere a forza di bombe e di missili.
Pare ormai chiaro e lampante che, benché nutrito dal sangue dellinnocente,
il terrorismo islamico è un cocktail ideologico rivoluzionario multinazionale,
di stampo socio-economico, prima di trasformarsi, secondo il punto di vista,
in fondamentalismo fanatico-religioso. Come tale, è una fede capace
di resistere alla micidialità di qualsiasi superpotenza. Non si sa
se Osama Bin Laden sia morto o vivo, ma ormai non importa: il suo fantasma
è assurto a icona leggendaria per le migliaia di cellule attive,
assopite o dormenti, sparse per il mondo. Continua accanita la caccia spietata
al genio del male, ma bisogna pur ammettere che, psicologicamente, il terrorismo
ci ha costretti in difesa.
I danni causati dalla strage dellUndici Settembre sono ingenti abbastanza
da restare tuttavia inestimabili. Senza calcolare il trauma alla psiche
americana, la cifra iniziale si aggira a cento miliardi di dollari, da triplicare
per far fronte ai provvedimenti in istituzione per la sicurezza nazionale
e per arginare uneconomia sconvolta dagli eventi, anche quando non
si sapeva che fosse al tempo clandestinamente sbranata da orde fameliche
di capitani dindustrie fraudolenti. Le conseguenze si accavallano
con leffetto catastrofico dun tsumani: leconomia nazionale
non riesce a trovare il ritmo di prima; la cittadinanza è invasa
da una paura contagiosa; le linee aeree operano sullorlo dellabisso;
la borsa è un disastro, anche perché, dovuto agli scandali
e fallimenti continui, il cittadino non si fida, e non trova più
lo stomaco di esporsi alle magagne di Wall Street. Larsenale bellico
americano divora ogni santo giorno un miliardo di dollari. Per il prossimo
decennio, altri 169 miliardi sono stati stanziati per la costituzione e
mantenimento dun nuovo e colossale gabinetto conosciuto come Homeland
Security, che minaccia di diventare la scorciatoia per una dittatura democratica
della Casa Bianca. Ma tutto ciò non basta: lanello più
debole della sicurezza nazionale interessa il fronte costiero, sullAtlantico
e sul Pacifico, e richiede che si faccia causa comune con il Canada, al
punto di consigliare un sistema NORAD operante anche nelle zone marittime.
Intanto mancano i fondi per mantenere le scuole aperte a tempo pieno e per
sfamare i bambini che vanno a letto senza cena; si tagliano altresì
i servizi delle biblioteche e dellordine pubblico, ovvero di tutto
quanto, in un sistema capitalistico, funziona in virtù del suo socialismo.
La torta rimane intatta per i capitalisti, di cui luno percento controlla
il 40% della ricchezza nazionale.
Una decade dopo Rio de Janeiro, si è concluso senza niente concludere
il summit di Johannesburg. Bush
si è distinto per la sua assenza, ed il suo rappresentante, Colin
Powell, è stato fischiato. Si è condannata soprattutto legemonia
delle industrie agricole, americane ed europee, che, sovvenzionate da sussidi
governativi, soffocano lagricoltura dei paesi sottosviluppati e sanzionano
la schiavitù della popolazione indigena. I programmi di sviluppo
sostenibile e di energia rinnovabile echeggiano la retorica di quelli ideati
per la sanità, per la lotta contro la pandemia dellAids, e
linumanità delle industrie farmaceutiche. In poche parole,
nulla si fa per sollevare i popoli dalla loro indigenza, e lAmerica,
alla testa dei paesi sviluppati, trascura di prosciugare le paludi, di nebulizzare
le larve della povertà, ed insiste a voler sterminare i moscerini
del terrorismo, uno alla volta, a colpi di mazzate.
Se ciò non bastasse, a sconvolgere qualsiasi tentativo di rappacificazione
globale sintensifica la follia duna politica estera americana,
pasciuta dillusioni imperialistiche, e mirante allimposizione
di decisioni unilaterali, al di fuori di convegni, accordi e trattati, e
senza rispetto alla maestà delle Nazioni Unite. Washington, o per
esso lIMF (Fondo Monetario Internazionale), deve abituarsi a onorare
la sovranità dei popoli, a cominciare da Cuba, unico superstite della
consunta ideologia comunista (la Cina, come già lex Unione
Sovietica, si sa, si orienta verso il capitalismo!), e per finire ai paesi
dAfrica e dellAmerica latina, come del Medio ed Estremo Oriente.

Raramente
lopportunità bussa due volte: se, prima di concludere lavventura
sul Golfo Persico, Bush (padre) o Cheney o Powell o Schwarzkopf avesse studiato
Machiavelli, non ci sarebbe oggi bisogno di disfarsi dun mascalzone
allevato, come tanti altri ex-alleati, alla dittatura con fior di dollari.
La coalizione internazionale contro lIraq, e per recente associazione
contro lAsse del Male, si è evaporata, e lAmerica, raramente
convinta dei propri raggiri, si troverebbe praticamente sola ad affrontare
unaltra guerra che fa prevedere un finimondo. Ci rimane alleato il
governo britannico, forse memore della solidarietà di Reagan nellottanta,
durante lo scontro con lArgentina, per il recupero delle Malvine.
Bush può anche contare sullalleanza con lIsraele, che
continua a menarci per la coda, perché altrimenti riuscirebbe difficile
capire come si fa a schierarsi senza discriminazione dalla parte dun
Ariel Sharon in Cisgiordania, attirandosi lodio mortale del mondo
arabo ed islamico.
Rincuora che la popolarità di Bush si sia ridotta quasi al livello
delle presunte elezioni presidenziali, e che il Congress, bilateralmente,
una volta tanto, abbia deciso di mettere in dubbio la bontà
dunultima guerra senza garanzie, prevista sanguinosa e costosissima,
che finirebbe per distruggere ogni intesa alleata contro la campagna terroristica.
È Saddam Hussein davvero in grado di e disposto a seminare la strage
con ordigni bio-chimici e nucleari? O trattasi invece di mire ulteriori
di politici americani, al servizio dei giganti del petrolio e dellenergia,
e di qualche altra impresa capitalistica? LAmerica non gode fama di
paese autenticamente filantropo, neanche quando corre a darti una mano daiuto
in tempo di bisogno. A scanso di equivoci, non bisogna confondere il governo
con il popolo americano, che, generoso per natura, è sempre pronto
allappello nellora del dolore. Il governo invece, nella maggioranza
dei casi, ti soccorre per insediarsi e rimanere ospite eterno. Guantanameraaa!
E così nel Guatemala, Nicaragua, Panama o nelle Filippine, per citare
qualche esempio, senza enumerare le località delle basi americane
sparse, sin dalla fine dellultima mondiale, in tutta Europa e nel
mondo intero, per la protezione d interessi nazionali. Non a caso
questultimi sembrano spuntare in luoghi strategici o ricchi di risorse
naturali. Papua, piuttosto che Ceylon. Angola, anziché Burundi. Mi
spiego?
In memoria delle vittime dellUndici Settembre, e di tutti i caduti
di tutte le guerre, torna grato ricordare labnegazione altruistica
della polizia e dei vigili del fuoco di New York nellora fatale, e
di quanti non esitarono a dar tutto di se stessi. In occasione dellanniversario,
mentre si rivive lintima solidarietà del popolo americano,
sia lecito sognare che lo stesso effluvio di comunanza conquisti il cuore
dellumanità, e guidi popoli e governi ad uneroica introspezione,
atta a riportarci sul sentiero della pace universale. Cessino il desiderio
di vendetta e la corsa alle armi sempre più letali. Si smetta tanto
spreco di risorse destinate ad uccidere, per dedicarle invece ad opere di
vera compassione, di bene, di vita.
F.E. Albi
(Appare in Canada su
Il Congresso e in Italia sul
Grimnaldello/La
voce del Savuto)
Le
parole
Mantova 2002
di
Cristina Tambacopoulos
Sono "reduce" felice e recidiva da Mantova e dal suo Festivaletteratura.
Tornata da poco tra i "comuni mortali", non mi è facile
spiegare in quattro battute cosa vuol dire esserci stati, sebbene - essendo
ormai alla mia terza volta avrei dovuto trovare da un pezzo "le
parole per dirlo", quelle giuste. Il fatto è che le cose vive
e pulsanti e il Festival lo è - non sono mai statiche: respirano,
crescono, cambiano in continuazione e la nostra percezione, per poterne
cogliere pienamente i vari aspetti, deve saper seguirne levoluzione,
intonandosi al nuovo, rinnovandosi anchessa, adattandosi. Bisognerebbe
essere stati a Mantova al meno una volta, per capire il motivo per cui si
rinuncia ad una settimana al mare o ad un altro incontro, altrettanto invitante
ed importante, in contemporanea altrove (mi viene in mente Venezia), per
non perdere lappuntamento di fine estate con la stupenda cittadina
virgiliana
Cosa si è dunque, o meglio, cosa si prova a far parte dellesperienza
Festivaletteratura? Possibile risposta: qualcosa dindefinito ed indefinibile,
qualcosa di positivo comunque ne sono sicura; nellimmediato,
uno strano mix di euforia e di vitalità, nonostante linevitabile
stanchezza fisica (lunghe file per ogni cosa, anche la più banale,
e spostamenti continui da una parte della città allaltra) e
nonostante la leggera, ma piacevolissima confusione delle idee in testa,
dovuta alla sistematica esposizione ai tantissimi stimoli (sindrome di Stendhal?!)
che colmavano laria un po ovunque a Mantova, a tratti piovosa,
ma subito dopo, ancora piacevolmente estiva; successivamente, una specie
di "saturazione" mentale ed una sensazione di pacatezza per lappagamento
di quella fame di conoscenza (buco nella mente?!), che tuttavia promettono
grandi
"appetiti" futuri!
Ora premetto che la mia vuol essere soltanto una breve passeggiata, molto
personale (per lappunto molto mia) ed anche - se vogliamo un
po "di parte", tra gli eventi, le persone, i luoghi. Concedetemelo.
Lungi comunque da eventuali e sicuramente leciti interrogativi circa la
necessità della gratuità o meno di manifestazioni simili che
riguardano la cultura (a Mantova si paga), dalla mirata promozione di determinate
vendite e di determinati personaggi, piuttosto che di altri, dai problemi
e gli interessi che interessano leditoria ecc. (a Mantova la piccola
editoria è comunque molto vivace) e persino aldilà di valutazioni
positive sul filo rosso degli eventi, inevitabilmente l11 di settembre
dello scorso anno che tutti conosciamo (presente come altrove anche a Mantova,
ma piuttosto implicitamente) che volentieri lascio ad altri, per presunta
incompetenza e per il rischio di banalizzazioni gratuite e buonismi impropri
lungi dunque da tutto questo, io vorrei solo spendere qualche parola sulla
mia Mantova e su ciò che dimportante può significare
questo evento singolare per ognuno di noi separatamente nel proprio intimo,
nel proprio piccolo, ma poi si estende in qualche modo anche agli altri,
va fuori nel mondo, con una risonanza non più solo privata.
La parola che mi viene subito in mente è "fascino": non
tanto il fascino che subisce il pubblico dallincontro col corpo, con
la fisicità degli scrittori amati; fisicità che si congiunge
allidea puramente astratta che ci si era fatta di essi attraverso
la lettura. "Il corpo degli scrittori partecipa dei loro scritti. Essi
provocano la sessualità nei loro confronti. Come i principi e i potenti.
Sono oggetti sessuali per eccellenza, uomini e donne, indifferentemente
"
diceva con accortezza Margherite Duras. Nemmeno di quel fascino parlo, che
anche lo scrittore stesso a sua volta subisce dal suo pubblico; pubblico
che talvolta - come generatore di emotività - può diventare
prepotentemente oneroso. Ho visto più di uno scrittore agitarsi e
commuoversi in maniera molto evidente, stringere nervosamente fra le mani
tremanti il proprio foglio di appunti, quasi per non cedere alla tentazione
di scappare via, quasi per tornare il prima possibile allintimità
delle proprie pagine e proteggersi dalla voracità dei lettori. Perché
spesso la scrittura appartiene molto a chi preferisce scriverla proprio
per non raccontarla, ma non manca il rischio che una notorietà improvvisa
ed inaspettata, possa rubare allo scrittore i propri scritti qualora decida
di aprirsi e raccontarsi in pubblico. Il pubblico sa amare, certo, ma sa
anche divorare e non sempre rispetta. Escluso o superato questo ostacolo,
verso la fine dellevento, gli autori apparivano di solito piuttosto
"provati", ma molto contenti, direi raggianti di luce non soltanto
propria. Per qualcosa che sicuramente andava oltre il pur esistente, si
presume, narcisismo dellautore che se non è ipertrofico, non
è poi così dannoso. In fondo, per chi scrive e soprattutto
pubblica, la pulsione di esporsi, di "farsi vedere" (leggere)
sarà senzaltro più forte di quellaltra, proteggere
i propri scritti, no?
Ecco, dicevo dunque del fascino di scoprire il corpo fisico di un corpo
astratto che si ama senza conoscere, dei suoi limiti umani emotivi,
psicologici e ideologici ma spesso anche di una grandezza che non
si sospettava prima e forse nasce proprio a partire da questi limiti che
mettono autore e lettore sullo stesso piano e li rendono complementari.
Luno non esiste, non può esistere senza laltro.
Tutto qui e tutto bene dunque? No, non sempre. Fortunatamente, direi! La
delusione può esserci anche e dipende da tante cose diverse e non
tutte o non sempre attribuibili agli scrittori. Spesso ad esempio, cogliamo
da loro come da tutti gli altri solo ciò che vogliamo
cogliere, ciò che più ci interessa o più ci conviene,
perché in fondo ci fa più comodo. Scoprire dopo che non era
così e che in realtà non eravamo "in coincidenza"
col nostro autore, può generare delusione, ma è quella stessa
delusione, la stessa quasi rabbia che si prova quando si scopre che a fregarci
siamo stati solo noi, mentre l altro ha le carte perfettamente in
regola e l unica "colpa" di un punto di vista diverso dal
nostro.
Inoltre, diciamolo pure, chi scrive non è poi tanto diverso da chi
non scrive: gli scrittori, come del resto tutti (dagli alpinisti, i pompieri,
le casalinghe agli
stacanovisti del lavoro di una volta, ognuno nel
proprio settore), fanno anche loro parte dellenorme consorzio umano
e rispetto agli "altri", loro hanno solo una marcia in più;
un dono se vogliamo che spesso è più un dono
conquistato e meritato, frutto di duro lavoro e di sudata fatica, più
che talento innato, scritto nei propri geni o gratuito; con lunico
vantaggio che nasce a partire dallamore per la parola, questo sì.
Così, sullenorme palcoscenico delle idee in cui la deliziosa
cittadina ha trasformato almeno 30 delle sue splendide architetture e tra
i 180 appuntamenti, i 100 scrittori, gli altrettanti artisti, attori e cantanti
e infine, gli innumerevoli giovani volontari vestiti di blu, si è
visto ogni possibile-immaginabile tipo di profilo umano: il simpaticone
e lantipatico, il bello ed il brutto, il consueto ed il carismatico,
la star che firmava persino sui muri ed il lavoratore schivo e refrattario
allesibizione, il timido e lo sfacciato, il narciso, linteressante
ed il noiosetto, il guru ed il superficialotto, il perfettamente allineato
e lalternativo, il familiare e lo scomodo, lo scomparso inspiegabilmente
nel nulla (Umberto Galimberti, my love, ma dove eri?!) e lonnipresente,
loccidentale e lorientale, il creativo e lo scialbo, il razionale
e lintuitivo, il cittadino ed il paesano, il sociale ed il privato
infine e purtroppo, persino lo sciagurato: il noto studioso e psichiatria
E.Borgna che ha dovuto lasciare il Festival per un lutto improvviso, pare
gravissimo.
Mi vien da pensare a quella canzonetta di Rino Gaetano, apparentemente leggera-leggera,
ma non priva di significato a mio parere, perché molto vera nel raccontare
la vita comè, in tutta la sua multicolore diversità
che tuttavia non impedisce il chiarore d un "cielo sempre più
blu" sullorizzonte comune di tutti. Ecco, siamo noi quella canzone;
ed anche il microcosmo degli autori, siamo sempre noi. Niente più
e niente meno.
Raccontare il mio elenco di autori, la mia esperienza letteraria ed umana
del loro incontro, non mi pare indispensabile qui e queste righe non mirano
a spiegare ciò che sicuramente si scriverà abbondantemente
dai critici in questi giorni post-festival. Basterà solo qualche
piccolo esempio: il fascino prorompente ed indiscusso della bravissima,
oltre che bellissima, studiosa dellebraismo Elena Loewenthal che spiegava
alla giornalista e sua interlocutrice Alessandra Orsi, il denso percorso
che oggi la porta dallo studio accademico del suo argomento alla stesura
di un romanzo sullOlocausto che promette davvero molto. Una mia scoperta,
del tutto casuale ma molto felice, può essere un altro esempio: si
tratta di un carismatico quanto umile C.Magris iberico; è landaluso
Antonio Munoz Molina - intervistato a Mantova dal nostro colto e simpatico
Bruno Arpaia ed il suo "Danubio", chiamato Sefarad (nome
bellissimo, dato alla Spagna dagli ebrei, dopo esserne stati espulsi nel
1492) e sottotitolato Un romanzo dei romanzi, dove attraverso voci che raccontano
storie, si racconta niente meno che la storia del secolo ormai alle spalle
e si denunciano con forza e limpidezza singolari i totalitarismi di ogni
genere, senza mai tuttavia trascurare ciò che è proprio dell
uomo, a prescindere dai fatti storici che comunque lo determinano: gli affetti,
lamore, lestraneità
E poi anche lamericano
Richard Ford, delizioso poeta del quotidiano, che decide di studiare letteratura,
preso da un impulso improvviso dopo una malattia. Apparentemente semplici
i suoi racconti, in realtà sono delle indagini profonde nellanima
femminile ed in quella maschile e nella complessità dei rapporti
tra uomo e donna. Fa sua la straordinaria forza dei gesti, del desiderio
e dellamore che sebbene testimoniano una sincera volontà dintesa
e fratellanza che ben sappiamo difficili, si fanno allo stesso tempo inquinare
dalla sottilissima sensazione dellimpossibilità che ciò
accada
Forte la parola di R. Ford e fortissima la riflessione che
cela sulla vita e sui rapporti tra i sessi
Poi ci sono stati ancora
altri, non meno bravi, come fare ad enumerarli tutti?
Anche il nostro
Vincenzo Cerami, molto divertente col suo "metronomo" poetico,
col sottofondo musicale di Nicola Piovani, poi linglese Tim Parks
che conduceva un umile ma fortissimo gruppo di traduttori molto coraggiosi,
alle prese con testi intraducibili
Invece tanti li ho persi: linglese
Ian MacEwan per intempestività (il tutto esaurito già da maggio!),
lattesissimo indiano "guru del sociale", Amitav Gosh per
ignoranza (di lui ho saputo solo dopo!), lo studioso junghiano James Hillman
per impossibilità di esserci lultimo giorno (il Festival si
chiudeva con lui) ed infine, l avventuriero viaggiatore molto
zen!,
Tiziano Terzani per pura e semplice
stupidità! (credevo che
il suo, fosse un raduno
buddista in pieno svolgimento e non mi sentivo
sufficientemente degna di partecipazione! Incredibile, lo so, ma vero! Che
dire?!
). Tutti comunque mi hanno lasciato qualcosa di prezioso e da
questa pagina che non leggeranno mai, io vorrei ringraziarli tutti
i miei e "gli altri", lo ribadisco - di cuore. Ma ora basta con
me.
Cè un altro corpo che vibra in tutto questo, meritevole
di grande attenzione e possibilmente di comprensione, sicuramente non facile.
E un corpo collettivo e polifonico, perché racchiude in sé
le energie in sintonia di unintera moltitudine e nasce lì sul
momento, come in ogni luogo dove le persone sincontrano per riflettere
e comunicare in nome di qualcosa che superi il momento stesso dellincontro.
Tutti gli anni, puntualmente lo si ritrova questo corpo, ma non è
mai lo stesso; cresce di anno in anno ed è sempre più forte,
sempre più seducente: è il corpo fluido di quellintesa
singolare, quasi mistica e misterica che nasce, circola e cresce tra le
persone che vivono la loro esistenza in mezzo alle parole
assieme,
accanto, attraverso e per le parole. Le incontrano nel loro quotidiano,
le sfiorano, le accarezzano e con esse si confrontano di continuo; si scontrano
o si abbracciano con le parole; talvolta le piegano, le stropicciano, e
persino le maltrattano; e le scambiano anche, come a Mantova
Per professione,
per diletto, spesso anche per necessità che importa? - ma
sempre e questo importa davvero - con amore, tanto amore e profondo
rispetto per ciò che le vere parole sono.
PA RO LA:
pensata, scritta, letta, detta, amata, odiata
La vera parola non perdona.
Come la verità. Ha un ché di assoluto che passa tuttavia attraverso
mille contraddizioni. Sa dire o tacere, svelare o celare, dare o togliere,
ferire o guarire, uccidere o far resuscitare, sa essere vera, sa ingannare.
La parola è unarma letale o una leggera brezza che ti ristora
nel deserto sterile dove il mondo dei consumi odierno rischia di farci sprofondare.
Si vive e si respira di parole e di parole si muore ogni giorno. Chi affollava
le stradine del centro storico di Mantova, lo sapeva bene, anche se non
sempre trovava LA PAROLA che cercava, ma solo le sue contraddizioni, i suoi
travestimenti. Glielo si poteva leggere nello sguardo, un po perso,
un po strano, ma tanto contento
ed era questa la sua partecipazione
nel mistero laico in quella festa della parola, che lo univa a chi gli passava
vicino. Qualcuno accanto a me aveva parlato di
libridine. Libridine
dunque??? D accordo, libridine!!! Per dare un nome a quel che resta
nellaria brumosa, nelle piazze vuote, sulle panchine umide, nei chiostri
autunnali e nelle splendide architetture romaniche e rinascimentali, anche
dopo le parole dellestate
apparentemente, nient altro che il niente o il tutto che è
nelle parole: le nostre, le loro
Cristina